
a cura di Maria Iola iaquinta
Il corpo è la tela sulla quale gli esseri umani dotati di senno smettono di ragionare e cominciano ad inventare. La moda è una forma artistica in cui l’uomo “non serve a niente”.
Paillettes, cinture, abiti lunghi, corti, neutri o colorati sono la lente con cui l’estro fatto professione si palesa e si mostra per mezzo degli uomini che si neutralizzano al suo cospetto. Le modelle e i modelli sono dunque un mezzo anonimo, serio e imperturbabile con cui gli stilisti e le case di moda affermano il loro essere.
L’estetica è stata ritenuta una tematica centrale nell’ambito del fashion, ma, a nostro parere, se ne è tralasciata un’altra: l’etica. Canoni troppo stringenti riducevano la moda ad un fenomeno meramente luccicante che ricalcava gli stereotipi tradizionali della donna al limite dell’anoressia con il solo “compito” di ostentare ma non troppo la sua estetica canonica. Una rivoluzione silente e fragorosa al contempo si è cominciata ad attuare quando quei canoni non rappresentavano più le persone reali, ma strizzavano l’occhio alla reiterazione del noto.
Il pensiero rivoluzionario ha come autori tutti coloro che dalla stranezza hanno fatto scaturire bellezza.
Moda tra funzionalità ed inclusività.
Il mondo della moda si è fatto promotore di un sovvertimento delle priorità non più l’estetica al centro, ma al contrario, etica, accoglienza ed inclusività. Marchi illustri, come Versace tra gli altri, hanno proposto un archetipo alternativo che in passarella si faceva sempre più spazio. Così le persone con disabilità hanno potuto scardinare l’estetica tradizionale proponendo l’ostentazione dell’anti convenzionale. Carrozzine, protesi, macchie sulla pelle e visi non prototipici divenivano l’occhio di bue con cui la moda cominciava ad illuminare la realtà e non la costruzione della medesima. Un adolescente come tanti vuole avere un paio di scarpe alla moda e chiede a Nike di aiutarlo a far diventare questa azione quotidiana una prassi anziché un’impresa titanica poiché affetto da paralisi cerebrale.L’azienda risponde dando vita a FlyEase, un modello di scarpa apribile anche dalla caviglia, così da non dover utilizzare le mani. A questo modello ne sono conseguiti altri sempre più funzionali e facili da indossare.
Moda inclusiva o ghettizzante?
Alle persone con disabilità non è stato mai consentito di parlare di moda e quando si tentava di tratteggiare un’argomentazione su questo tema si ricorreva ad una rappresentazione sintetica che veniva assimilata atermini quali comodità e funzionalità. La persona con disabilità in quanto essere asessuato e perennemente infantile, doveva confermare lo stereotipo affibbiatoli dalla società tramite una moda che ne fosse lo specchio. Era bandito ogni tentativo di costruire outfit sensuali che facessero emergere la femminilità o la virilità delle persone con disabilità. I capi servivano a minimizzare i difetti, a nasconderli o a camuffarli, seguendo il motto “Ciò che non funziona non può essere mostrato”. Questo tipo di moda serviva a ingrandire le differenze e a reiterare un’idea precostituita e dogmatica delle persone con disabilità. Si ricorreva ad una narrazione estremistica che riproponeva l’ottica patologizzante.
Che fine ha fatto il gusto?
Giulia Lamarca, psicologa e travel blogger sostiene che la moda sia valorizzazione del corpo così come del gusto personale. Ritiene, infatti, che non si debba fare differenza tra moda prototipica e quella alternativa, ma che sia tutta una questione di gusti. Sebbene ci siano dei capi che valorizzino di più un determinato tipo di corpo ,non esistono indumenti che non possano essere utilizzati: gonne, vestiti lunghi e corti possono valorizzare il corpo di una persona in carrozzina a patto che siano scelti da lei per valorizzare la sua personalità.
Moda come valorizzazione del sé.
La moda è una scelta di autodeterminazione che la persona agisce per comunicare senza parlare. Tramite la moda si possono trasmettere messaggi inclusivi e positivi, ma al di là delle esigenze derivanti dalla causa da sostenere, ci sono le ben più salienti esigenze della persona, anche di quella con disabilità. Bisognerebbe sfuggire da tutto ciò che è omogenizzante rispetto alle categorie poiché non tutti hanno le stesse intenzioni o gusti pur appartenendo alla medesima categoria sociale.In realtà per arrivare al proprio sé ideale, bisogna differenziarsi dagli altri e risuonare con la propria autenticità.